Ha aperto i lavori Pino De Gregorio, presidente OMCeO Campobasso, venerdì pomeriggio all’importante convegno formativo dedicato alla medicina di genere. E lo ha fatto ricordando quanti eventi dedicati a questo argomento l’Ordine ha organizzato negli ultimi dieci anni, tanti e di grande spessore con i massimi esperti, sin da quando era praticamente oscura alla stessa classe medica. Ha ringraziato in modo particlare la past president OMCeO Carolina De Vincenzo che sul tema ha lavorato alacremente per tutti questi anni e le commissioni Pari Opportunità e Giovani, guidate da Antonella Giordano e da Federico Di Renzo, senza le quali non sarebbe stato possibile realizzare l’evento.
Un evento che di ordini professionali in azione ne ha contati addirittura tre, perché realizzato in collaborazione Professioni infermieristiche e Psicologi. Nel saluto delle rispettive presidenti, Cristina Magnocavallo e Alessandra Ruberto, la soddisfazione per l’approccio condiviso sull’argomento; entrambe hanno inoltre sottolineato la strategica importanza della Consulta delle professioni sanitarie, nata per fare rete tra i professionisti a supporto di ogni fragilità e diritto. La medicina di genere consiste infatti in un necessario approccio trasversale per garantire diagnosi e cure appropriate in base alla acclarate differenze degli studi clinici.
Tutti e tre presenti per il saluto ufficiale dell’azienda sanitaria i vertici Asrem Giovanni Di Santo (direttore generale), Bruno Carabellese (direttore sanitario) e Maria Grazia Matarante (direttore amministrativo), che hanno rimarcato l’importanza di un tema così delicato nel giorno dedicato alle donne, tra incessanti notizie di episodi violenti nei loro confronti. Non solo contrastare ogni forma di sopruso sul genere femminile, ma procedere verso una medicina sempre più attenta al singolo, a qualunque genere
appartenga, in maniera egualitaria: questa la linea tracciata da Di Santo. Presenti in sala, oltre a tanti professionisti, anche molti studenti ai quali si è rivolto il professor Germano Guerra dell’Unimol, invitandoli a cogliere sempre occasioni formative così importanti.
Smussare le differenze di genere in medicina è la mission del GISeG, Gruppo Italiano Salute e Genere accreditato presso il Ministero, che ha patrocinato il workshop e di cui Maria Gabriella De Silvio è vicepresidente. Suo l’intervento su medicina di genere, informazione e comunicazione. Il dialogo paziente-medico non è neutro: uomini e donne comunicano diversamente, che siano medici o pazienti. E la legge sulla medicina di genere (L. 11/1/2018) prevede un piano di divulgazione, campagne di comunicazione e di sensibilizzazione. Molto si è fatto, ma ancor di più resta da fare.
Fulvia Signani, psicologa, docente di sociologia di genere all’Università di Ferrara, è membro dell’Osservatorio sulla medicina di genere presso l’Istituto Superiore di Sanità ed è presidente dell’associazione EngHea per l’equità in medicina. Nel suo intervento ha fatto un excursus della storia di questa disciplina a partire da figure come la pioniera Marianne Legato per arrivare a nomi, tappe e norme più recenti. Ha parlato, come molte altre relatrici di visione androcentrica nella medicina: a lungo negli studi clinici la donna è stata considerata un ‘piccolo uomo’. Mentre oggi i sessi non sono neanche solo due, ma ben 40: uomo, donna, più 38 intersessuali (o intersex) che i medici si trovano davanti e che presentano caratteristiche proprie. I bias, i pregiudizi di genere che caratterizzano le nostre conoscenze, vanno superati, soprattutto davanti alle evidenze scientifiche; per interrompere questo circolo vizioso occorre formare, informare e sensibilizzare il più possibile.
Il consigliere dell’OMCeO Campobasso Federico Di Renzo, che insieme alla collega Rosa D’Amico ha organizzato questo importante momento formativo, ha acceso i riflettori sugli stereotipi di genere. Ha riportato una serie di dati che evidenziano il quadro nel quale si muove la medicina di genere. Nei media, ad esempio, le donne sono nel 26% delle notizie e in genere occupano ruoli di secondari. Gli stereotipi di genere, quell’insieme rigido di credenze condivise, sono evidenti nella comunicazione a partire dai giocattoli che si attribuiscono ai bambini. I cartoni animati di Walt Disney sono pieni di stereotipi, a partire dai sogni delle ragazze di sposare un principe per realizzarsi. Negli esempi dei libri di testo delle elementari, poi, in genere la mamma stira, il papà lavora. E ancora: il 58% della forza lavoro è maschile; le donne prendono in media tra i 2500 e i 7700 euro in meno all’anno degli uomini. Una condizione culturale che chiede a tutti un’azione decisa verso l’uguaglianza di opportunità e diritti. E alla quale si è adeguata, purtroppo, anche la medicina.
Anche l’intelligenza artificiale rischia di cadere nella trappola della visione antropocentrica. Lo ha affermato Serenella Civitelli, esperta in medicina di genere in collegamento da Siena, applicando il tema alla tecnologia. Molti strumenti sono tarati sulle caratteristiche fisiche maschili. Tra i tanti esempi è eclatante quello sui device di sicurezza nelle auto (cinture, air bag e poggiatesta) progettati su misure medie maschili e testati su manichini maschi. Le conseguenze sulla salute delle donne sono gravi: le ricerche hanno dimostrato che le donne hanno il 47% in più di probabilità di gravi traumi perché il device non funziona a dovere. Il delicato binomio sesso – genere è stato il tema del contributo di Silvana Capasso, pediatra, Consigliera Nazionale AIDM. Il genere influenza la salute, questo l’assunto, e lo fa attraverso comportamenti di genere specifici, nell’accesso alle cure, in una diversa esposizione ai rischi. I bias di genere pervadono tutto il sistema salute e non meno la ricerca, caratterizzata anch’essa da androcentrismo sin dalla raccolta dei dati.
L’aspetto normativo sula MDG è stato affrontato da Cecilia Politi, responsabile della “Area di “Medicina di Genere” della F.A.D.O.I. (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti), referente per la Medicina di Genere della Regione Molise. L’Italia è stato il primo paese a promulgare una legge su insegnamento, diffusione e implementazione della Medicina di Genere e molti sono gli obiettivi programmatici cui sono chiamate tutte le istituzioni sanitarie, insieme a ISS, Regioni, Aifa, scuola e università, società scientifiche, professionisti. L’onere è informare e coinvolgere il più possibile attraverso zioni strategiche quali l’identificazione di un referente regionale, la realizzazione di un relativo gruppo tecnico, la definizione degli indicatori, azioni di ricaduta su aziende sanitarie e Irccs e massima divulgazione con spazi informativi dedicati. La professoressa Politi ha inoltre illustrato sabato, attraverso i dati, gli enormi divari tra maschio e femmina in correlazione con le malattie cardiovascolari: diversi i sintomi, le reazioni nel tempo, i rischi valutabili nelle diverse manifestazioni patologiche.
Grazia D’Aquila, per le professioni infermieristiche, si è soffermata sulle differenze socioculturali nelle cure al paziente fragile, a partire da quello immigrato, un approfondimento che deriva da una lunga esperienza nella medicina dell’emergenza. Applicare l’approccio che richiede la medicina di genere al vissuto e alla condizione personale di un immigrato e
soprattutto di un’immigrata in situazione di emergenza, di fronte alle variabili provenienza e cultura di riferimento, richiede senza dubbio una preparazione specifica, oltre che una grande sensibilità, affinché venga garantita un’equità di cura. Dal punto di vista medico legale la medicina di genere ha un ruolo molto importante. Lo hanno sottolineato tutti i relatori anche nel dibattito che ha chiuso i lavori di venerdì. E lo ha dimostrato con alcuni esempi ed una serie di valutazioni tecniche l’avvocato Giorgio Barletta del foro di Bari nel suo contributo che ha chiuso la sessione di venerdì.
Trascurare differenze sesso-genere significa sottostimare una serie di conseguenze legate all’ambiente. E le evidenze dicono che ce ne sono. Così Cristina Mangia, ricercatrice CNR, ha aperto i lavori sabato mattina illustrando il punto di vista epidemiologico. E ha rimarcato che investire sulla ricerca e indirizzarla anche in ambiti trascurati come le differenze di genere sia la via da percorrere. Stratificare i dati epidemiologici è l’inizio, ma occorre cambiare il paradigma di base, perché, ha affermato, non è possibile fare più una ricerca neutra ma occorre considerare all’origine variabili appropriate che includano sesso e genere. A che serve l’etimologia ambientale, si è chiesta infine, se non si trasforma in politiche di prevenzione?
Un approccio genetico al tema è stato proposto da Domenico Dell’Edera, responsabile UOD Genetica Medica P.O. “Madonna delle Grazie” di Matera, che ha posto una particolare attenzione alle malattie epigenetiche.
La professoressa Teresita Mazzei, ordinario di farmacologia a Firenze e tra i massimi esperti del tema, ha parlato di farmacologia e genere, mostrando in che modo assunzione, tolleranza, metabolismo o effetti collaterali dei farmaci variano secondo il genere.
Anche la presa in carico vede un approccio di genere. Ne ha analizzato gli aspetti Federica Petrone, docente Unimol a Scienze Infermieristiche, che appellandosi al codice deontologico professionale ha analizzato tutti gli aspetti dell’attività col paziente. Ed ha evidenziato ancora una volta un approccio personalizzato, in base a vari parametri, quello di genere in primis.
Il Presidente GISeG, la prof.ssa Annamaria Moretti, pneumologo in collegamento da Bari, ha messo in correlazione l’ottica di genere con le malattie respiratorie croniche, a partire dalle differenze di tipo anatomico dalle quali derivano naturalmente tutte quelle funzionali.
Klara Komici, docente Unimol, ha portato all’attenzione del pubblico il tema nel mondo dellefragilità in relazione al genere. Si parla di individui con disabilità o comunque con patologie a bassa speranza di vita. Il paradosso sul genere ci dice ad esempio che le donne si ammalano di più ma sopravvivono anche di più. Ultima, ma non certo per importanza,
Rosa D’Amico, che insieme al consigliere OMCeO Federico Di Renzo ha organizzato questo importante evento. La dottoressa ha affrontato il tema del genere applicandolo alla chirurgia. Curiosi gli aneddoti sulla difficoltà di farsi accettare come chirurghi nel 19esimo secolo, come quello di James Barry (Margaret Ann Bulkley), una donna medico che per operare decise di farsi passare per maschio. Stereotipi antichi che però oggi non sono completamente scomparsi, perché restano presenti in maniera subdola in alcuni atteggiamenti singoli o collettivi.
Si deve dunque continuare nel percorso che l’Ordine dei Medici di Campobasso ha intrapreso in maniera assolutamente pionieristica e che porta avanti con decisione e costanza da molti anni. Ogni evento, ogni momento di riflessione è un passo in più verso un sistema di diagnosi e cura degno di un mondo moderno, attento ad ogni diversità e soprattutto capace di garantire una vera equità di trattamento a tutti.