Dr House addio, benvenuta Meredith Grey: la medicina è donna. E, anche in Italia, il sorpasso al femminile, per quanto riguarda i medici, è sempre più evidente. Lo dimostrano i dati elaborati, come ogni anno in occasione dell’8 marzo, dal Ced della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri.
Gli uomini, tra i medici, sono ancora in vantaggio, ma si tratta di una maggioranza sempre più risicata: sono, infatti, il 55% del totale, e precisamente 218226 contro 178062 colleghe donne. Donne medico che costituiscono ormai la parte preponderante della forza lavoro nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale: considerando i medici con meno di 65 anni, e dunque sicuramente ancora in attività, il 54% è donna. E la percentuale sale rapidamente al calare dell’età: le dottoresse sono il 57% dei medici sotto i 60 anni, il 60% tra gli under 50. Nella fascia d’età dai 40 ai 44 anni, in particolare, quasi 2 medici su 3, e precisamente il 64%, sono donne. La tendenza sembra normalizzarsi invece tra i nuovi iscritti, con meno di trent’anni, che sono ‘solo’ per il 56% donne. Eppure, nel complesso, l’onda rosa avanza: un anno fa, a marzo 2020, i medici uomini erano il 56% del totale. Questo perché è soprattutto nelle fasce di età più alte che sono la maggioranza: ad oggi, l’82% tra i medici over 70, che via via vanno in pensione.
Del resto, quella della femminilizzazione della professione è una tematica moderna: appena cento anni fa, le donne medico erano circa duecento, per diventare 367 nel 1938. Medico fu però la prima donna a laurearsi nell’Italia unita: Ernestina Paper, originaria di Odessa, che discusse la sua tesi all’Università di Firenze nel 1877; seguita, l’anno dopo a Torino, da Maria Farné Velleda, seconda laureata d’Italia, sempre in Medicina.
Una femminilizzazione della professione medica, dunque, che diventerà ancora più evidente nei prossimi cinque anni, quando, secondo le proiezioni, avverrà il ‘sorpasso’ vero e proprio, anche sul totale dei medici. E che impone, anche in considerazione della crescente importanza delle professioni sanitarie e di cura legata alla pandemia di Covid-19 e alla cronicità, nuovi modelli organizzativi e sociali.
“La pandemia ha acceso un faro sul lavoro silenzioso e lontano dalle luci della ribalta dei nostri medici – spiega il Presidente della Fnomceo, Filippo Anelli -. Questo, se da una parte ha fatto comprendere l’importanza insostituibile del loro operare, e il loro forte ruolo sociale, ha anche rivelato carenze e zone grigie che affliggono i nostri sistemi sanitari, dovuti alle reiterate politiche di taglio delle risorse economiche ed umane. Sono emersi, con prepotente evidenza, i turni interminabili, gli straordinari non pagati perché oltre il tetto massimo, l’impossibilità di fruire delle ferie e, per le colleghe, i sensi di colpa per la maternità, che portano a procrastinarla sempre più in là nel tempo, con effetti su tutta la società. È quindi a un duplice livello che dobbiamo intervenire: sulle organizzazioni di lavoro, che devono permettere a tutti i medici di conciliare la vita privata e familiare con quella professionale; e sul piano sociale, incrementando i servizi alla persona, le misure a sostegno della famiglia e i fondi per le politiche sociali. Occorre un cambio di passo, perché non ricada soltanto sulla donna la gestione della famiglia e dei più fragili, ma tale responsabilità sia condivisa a livello familiare e sociale: la parità di genere passa anche da questa via. E passa da questa via la possibilità per le professioniste di dedicarsi alla carriera senza dover sacrificare la vita privata e gli affetti, che sono diritto fondamentale sancito dall’Unione europea. In questo senso potrebbero essere utilizzati i fondi che l’Ue mette a disposizione per colmare il Gender Gap e quelli dedicati alla parità di genere del Recovery plan”.
“Per quanto riguarda in maniera specifica le donne medico, è necessario che anche i sistemi organizzativi si confrontino con questa nuova realtà di una professione principalmente al femminile, soprattutto nelle fasce di età più giovani, e vi si adeguino – conclude Anelli – Occorre, ad esempio, che si modifichino i contratti, introducendo modalità flessibili di impiego”.
Le proporzioni si invertono tra gli odontoiatri, che sono per la maggior parte uomini: quasi due su tre, e precisamente il 64%, se consideriamo gli iscritti al solo Albo Odontoiatri. E addirittura il 74% prendendo in esame anche i doppi iscritti, che sono, cioè, sia medici che odontoiatri ma che, in prevalenza, esercitano la professione odontoiatrica. Anche tra loro le donne sono in rapida e costante crescita, di un punto percentuale l’anno, (erano il 27% l’anno scorso, il 26% nel 2019) e, nelle fasce d’età più giovani, si registra una sostanziale parità.
“A tutte le colleghe gli auguri per questo 8 marzo – afferma il Presidente della Commissione Albo Odontoiatri nazionale, Raffaele Iandolo -. Anche in questa giornata è importante pensare alla sicurezza delle professioniste e dei professionisti: l’auspicio è che, in tutte le Regioni, si concluda con successo la vaccinazione anti-Covid di tutti gli Odontoiatri, in modo che possano operare in piena sicurezza anche per loro stessi, oltre che, come già avviene, per i pazienti”.
Infine, una curiosità: prendendo in esame il numero totale degli iscritti agli Albi, medici e odontoiatri insieme, si nota che tutti gli Ordini della Sardegna sono a prevalenza femminile. A Cagliari le donne sono 3677, contro 3318 uomini; a Sassari 2047 contro 1895; a Oristano 417 contro 415; a Nuoro 774, contro 548.