La Scuola napoletana in risposta-commento al BMJ. “Una lettera aperta sulla necessità di sicurezza per gli operatori sanitari” di Francesco Sgambato, Già Direttore del Dipartimento e della U.O.C. di Medicina Interna- H Fatebenefratelli- Benevento
Covid-19: If we can’t protect our workers, we can’t protect our patients April 17, 2020
“There is a hospital in Naples where no doctor has been infected with covid-19. It is an infectious diseases centre when protection is good and hygiene safety rules are strictly adhered to. PPE here seems to work in the way it should.”
COMMENTO-RISPOSTA ALLA OPINIONE DEL BMJ:
Guagliò, vien’ ccà!
Ragazzo, vieni qua!
(La lezione che ancora non ho dimenticato)
Chi sa se i giovani Medici, in particolare oggi quelli avviati al fronte a contrastare il COVID -2, hanno mai ricevuto una lezione del genere.
Ora ve la racconto (quella lezione).
Quarantacinque anni fa (1975) ero Medico Specializzando in Tisio-Pneumologia nell’Ospedale “Vincenzo Monaldi” di Napoli, ove venivano ricoverati anche molti Pazienti sofferenti di Tubercolosi polmonare.
Io, come tutti i Medici giovani, trascinato dall’entusiasmo per le continue nuove esperienze che quotidianamente sperimentavo, spinto anche dalla inesperienza e dalla voglia di essere quanto più utile possibile, talvolta mi comportavo in maniera superficiale e mi approcciavo ai Pazienti senza eccessive cautele.
In particolare mi attardavo, a fianco del letto del Paziente, per una sempre più accurata anamnesi e per un esame obiettivo quanto più approfondito possibile.
Mi sforzavo di essere un perfetto allievo, secondo i canoni del tempo, ed ero convinto di meritarmi gli elogi del mio Primario, ma non mi accorgevo di trascurare i canoni della sicurezza nei contatti con quei Pazienti che potevano essere portatori del bacillo di Koch e, quindi, contagiosi.
Il mio Primario, che si era accorto di queste, a suo dire, “mie leggerezze imperdonabili”, si comportò come un padre affettuoso e mi chiamò nel Suo studio con le seguenti parole: “Guagliò, vien’ ccà!” “Ragazzo, vieni qua !”, con un tono tra il burbero ed il confidenziale.
“Siediti qui ed ascoltami bene. Così non possiamo andare avanti. Il tuo modo di fare non mi piace. Ma l’hai capito o ancora non lo hai capito che alcuni dei nostri Pazienti sono potenzialmente contagiosi ? In particolare mi riferisco a quei Pazienti nuovi arrivati, ricoverati da pochi giorni e ancora non studiati completamente.
Per questi pazienti devi smetterla di raccogliere l’anamnesi stando seduto alla scrivania di fronte a loro per molto tempo (20-30 minuti) e non devi effettuare l’esame obiettivo secondo i canoni classici che hai imparato sui libri di testo.
In particolare non devi delimitare l’aia cardiaca, per dieci minuti, con il paziente supino e tenendo il tuo volto in vicinanza del Suo volto, respirando l’aria che esce dalla Sua bocca.
In questo modo rischi di contagiarti facilmente e poi contagerai anche noi che ti stiamo vicini.
Per questi Pazienti ‘nuovi’, non ancora indagati, ma con il solo sospetto di malattia in fase attiva (TBC), l’esame obiettivo si fa in un altro modo, che è il seguente.
Quando sei entrato nella Sua stanza, con molto garbo devi dire al Paziente: sono venuto per farLe la visita generale e, quindi, per cortesia, si metta seduto e con le gambe fuori dal letto.
L’esame obiettivo comincia, così, dalla parte dorsale, stando alle spalle del Paziente, con una accurata applicazione dei canoni della semeiotica classica: ispezione, palpazione, percussione, ascoltazione.
(N. d. R.: All’epoca l’uso dei guanti non era frequente, se non durante le medicazioni alle ferite, ascessi ossifluenti, fistole, ulcere, etc).
Questa posizione consente di attuare la visita senza incrociare il respiro del Paziente ed anche la Sua eventuale tosse od il Suo sbadiglio con la conseguente emissione di secrezioni aeree.
Tale tuo comportamento deve essere attuato con discrezione e naturalezza, senza far balenare turbamenti nella prevedibile suscettibilità e apprensione del Paziente e senza che Egli possa interpretare il tuo modo di fare come una mancanza di rispetto della Sua persona.
Il tutto deve avvenire nella maniera più naturale possibile.
Se questa prima parte dell’esame obiettivo, relativo alla sola parte posteriore del torace, ti sembra normale senza segni di focolai polmonari in atto, puoi continuare facendo distendere il Paziente in posizione supina e completando l’esame anche sulla parte anteriore (cardio polmonare, addominale, sedi linfonodali al collo, ascellari, sovra-claveari ed inguinali).
Ma, se l’esame toracico posteriore ti fa diagnosticare la presenza di focolai attivi o ti lascia anche solo il dubbio di qualche flogosi in atto, non potendo mai escludere la presenza di caverne bacillifere, ti conviene continuare l’esame obiettivo sempre mantenendoti sul lato posteriore del Paziente e continuando nel seguente modo.
Puoi far passare il fonendoscopio (che è flessibile) al di sotto delle ascelle e puoi, così, auscultare il cuore, il torace anteriore, gli apici polmonari sottoclaveari, le basi polmonari e non dimenticare mai il lobo medio che è in posizione anteriore e laterale.
Guagliò, ’o fonendoscopio perciò hann’ fatt’ flessibile, proprio pe’ veni’ incontro ai Medici inesperti comm’ a te, che primm’ cadono malati e poi se ‘mparano.
Un famoso detto napoletano recita:“A S. Chiara, dopp’ arrubbata, mettettero ’e porte ‘e fierro”.
“A S. Chiara, nota Chiesa e Monastero di Napoli, misero le porte di ferro dopo che era stata già derubata”.
Laennec R. T. (1781-1826) aveva inventato lo stetoscopio nel 1816 (strumento cilindrico di legno, di circa trenta centimetri) che però non bastò a preservarlo dall’essere contagiato, cosicchè morì di TBC quando lui aveva solo 45 anni (anche la madre era morta di Tisi quando Laennec aveva appena 5 anni).
Probabilmente, se avesse avuto un fonendoscopio più lungo e flessibile, ci sarebbero state meno occasioni per contagiarsi.
Un altro “trucco del mestiere”, specialmente quando si visita a domicilio, è quello di farsi portare, nella camera da letto del Paziente, due sedie dalla cucina (che, in genere, sono le più resistenti) e far accomodare il Paziente sulla sedia davanti a sé, procedendo alla visita stando seduto sulla seconda sedia dietro al Paziente.
Un altro accorgimento pratico consiste nell’educare i propri Pazienti, che già dovrebbero essere edotti dalle proprie madri, nel proteggere la bocca con la mano durante i colpi di tosse, gli starnuti e gli sbadigli, volgendo anche la faccia dall’altra parte rispetto alle persone circostanti.
Questa banale forma di buona educazione non sempre viene applicata, o meglio, sempre meno spesso viene applicata.
È esperienza comune, infatti, quando i Pazienti sono distesi sul lettino durante la visita, che, se Essi vengono invitati a respirare, la maggior parte sposta subito il viso dall’altra parte se hanno un’età superiore ai settant’anni, mentre la percentuale cala di molto se Essi sono più giovani di età, a dimostrazione evidente del calo delle buone maniere.
Anzi, in particolare i più giovani, cominciano a parlare rivolti verso il Medico e, se compare il colpo di tosse durante la respirazione profonda, non proteggono la bocca con la mano, considerato che hanno il braccio, spesso, ciondolante fuori dal lettino ed ostacolato dalla nostra stessa presenza al suo fianco.
La mia esperienza può confermare che non dipende dallo stato sociale ma solamente dall’avere avuto o no i genitori accorti. Infatti, i più educati sono i figli della povera gente che, però, hanno avuto una madre accorta.
Guagliò, tocca a noi colmare questo gap educazionale nelle nuove generazioni (N. d. R: = stiamo parlando di 45 anni fa, figuriamoci adesso) facendo una semplice manovra con molto garbo e delicatezza, e spostando con un dito il viso del Paziente in senso opposto a noi che siamo impegnati nella visita.
Lo so che non è una cosa simpatica a farsi, ma ad estremi mali estremi rimedi, nell’interesse nostro e della collettività.
Se, poi, siamo affiancati dall’Infermiere durante la visita, tale manovra tocca al nostro collaboratore, a cui però, spesso, dobbiamo insegnarlo e ricordarlo ripetutamente.
Infatti, avrai notato che durante la mia visita in reparto, ogni tanto dico ad alta voce: “manovra 577” che non significa nulla, ma è una sigla in codice inventata per risvegliare la memoria a qualche collaboratore distratto o smemorato.
Di sicuro, questi miei consigli faranno storcere il muso ai puristi della visita medica e della semeiologia classica, ma uno dei motti antichi che condivido in pieno è: “Meglio un asino vivo che un dottore morto”.
Guagliò, stamm’ a senti’ Noi rappresentiamo un valore inestimabile che deve essere protetto da tutti, nell’interesse di tutti.
Se queste stesse cose vengono dette in latino od in greco acquistano maggior valore ed ottengono maggiore attenzione.
In Latino “Medice cura te ipsum” dal Vangelo secondo Luca (4, 23) oppure in greco: “Iατρέ, θεράπευσον σε αυτόν”.
Questi non sono messaggi egoistici dei Medici ma messaggi utili nell’interesse della intera popolazione, perché non bisogna mai dimenticare che: «Salus, suprema lex”. locuzione latina, propria dell’antico Diritto romano, stabilisce che l’individuo passa in secondo piano quando si tratta della salute pubblica.
Ne deriva che la figura del Medico è quella che va protetta in primis,
perché è la cultura medica che produce salute.
Guagliò, hai capito?
E mò, datti da fare, con prudenza ed equilibrio nel tuo lavoro, onorando sempre il giuramento di Ippocrate e l’etica cristiana, che, pur partendo da punti diversi (uno laico ed uno religioso) vanno molto d’accordo nella difesa della persona malata”.
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Così terminò la lezione del mio Collega anziano che non ho mai dimenticato da oltre 45 anni.
Anche io nel mese di Febbraio 2020 ho visitato, in ambulatorio od a casa del Paziente, più di dieci polmoniti.
Uno di essi fui costretto a ricoverarlo, risultò positivo al tampone per il Coronavirus e dopo un lungo periodo di Rianimazione, grazie al contributo di Medici ed infermieri, è tornato a casa.
Io venni posto in isolamento domiciliare fiduciario cautelativo, essendo io etichettato come “contatto stretto”.
Ovviamente sono stato ligio e, fortunatamente, ho avuto la possibilità di farlo in una casa che me lo ha consentito (camere da letto separate, bagni separati, pranzi e cene separati, distanze interpersonali oltre il metro e mezzo, etc..) A proposito, non mi ha mai convinto la distanza consigliata di un metro, anche perché mi era stato insegnato, dai Pneumologi dell’Università di Milano, che un colpo di tosse fa arrivare le goccioline anche a due metri o più, con starnuto non protetto dalla mano).
Figuriamoci se si può applicare un isolamento domiciliare fiduciario cautelativo in una casa di 50-70 mq, oppure in un “basso” napoletano, dove il Paziente positivo rimane obbligato in casa ed i familiari possono continuare ad uscire a fare la spesa, in farmacia, comprare il giornale, etc..
Dopo 14 giorni, senza aver avuto alcun sintomo, fui restituito alla libertà. Mi era andata bene, forse anche perché avevo applicato la lezione che mi era stata inculcata 45 anni prima e che non avevo mai dimenticato in tutta la mia vita professionale, facendone tesoro continuamente.
O, forse, sono stato solo baciato dalla Fortuna!
Francesco Sgambato
con qualche contributo di Cecco Gambizzato
- S. A proposito di tutti questi protocolli terapeutici, spesso divergenti e confondenti, che escono in giro ogni tanto con risultati positivi clamorosi, ricordo una vecchia riflessione ascoltata molti anni fa:
“Molti africani credono ancora che l’eclisse di luna
se ne va suonando il tam-tam”
PERCIO’ FURONO INVENTATI I TRIALS
E BISOGNA ASPETTARE I RISULTATI DEI TRIALS “CORRETTI”.
PRIMA DI VANTARE IL SUCCESSO DI UNA PROPRIA
NUOVA TERAPIA.
Oppure, ricordo che un altro Primario, quando io, da giovane inesperto e parlando con i familiari dei Pazienti, volevo anticipare le conclusioni diagnostiche che anche il Primario ancora non aveva esplicitato,
mi disse:
“Quando stai per parlare, pensaci un poco.
Quando, poi, hai deciso di parlare, pensaci un altro poco.
Quando, poi proprio, non puoi fare a meno di parlare,
vedrai,
che se stavi zitto era meglio !”